Sabato 19 Giugno alle 18: Giornata Mondiale del Rifugiato e della Rifugiata

Nell’invitarvi in P.zza Matteotti Sabato 19 Giugno alle 18,
vi chiediamo di portare un capo d’abbigliamento,
quello che preferite, insieme ad un cartello con il nome di una persona migrante,
per ridare simbolicamente umanità
a quelle/i che sono state/i uccise/i in mare.

Il 20 giugno è la Giornata Mondiale del Rifugiato e della Rifugiata.
Abbiamo deciso di organizzare un flasmob per ricordare l’ipocrisia dei governi europei sulle politiche dell’immigrazione. Politiche che uccidono migliaia di persone, donne, bambini e uomini.
Vogliamo ricordare che le stragi in mare e ai confini non sono numeri, ma nomi, volti, vite, esistenze.
Il 17 giugno abbiamo accolto per la giornata il Sindaco di Imola per dialogare con le donne richiedenti asilo che vivono in questa città. Insieme abbiamo scritto una lettera, a lui e a tutta l’amministrazione. Ne riportiamo qualche stralcio, affinché questa giornata sia davvero il riconoscimento dei diritti di esistenza delle persone rifugiate e che venga riconosciuto a tutti/e il diritto di circolare e scegliere il paese in cui vivere senza sopravvivere.

Caro Sindaco,

lei non ci conosce. Siamo donne, anche con bambini, che vivono questa città e stiamo meglio, ora che siamo qui. Da diversi paesi siamo arrivate in Italia per migliorare le nostre vite e quelle dei nostri figli e figlie e per dare alla nostra esistenza più sicurezza.
Questa lettera e queste parole nascono da un confronto collettivo in vista della sua visita. E’ stato difficile arrivare fino a qui e abbiamo scoperto che questo paese non ci vede per quello che siamo: donne alla ricerca di una casa, un lavoro, la possibilità di curarsi, una buona scuola per i nostri figli, insomma quello che cerca la maggior parte delle persone.
La realtà è fatta, invece, di mille ostacoli che trasformano il nostro percorso in un cane che si morde la coda. Sappiamo che per ottenere i documenti (permesso di soggiorno e status di rifugiata) la nostra storia deve passare attraverso una burocrazia lunga e complicata. Abbiamo fretta di riprendere a vivere, ma purtroppo, la nostra vita viene messa in pausa in attesa di un giudizio.
Nel frattempo che aspettiamo siamo qui, in stand by e con l’ansia costante che il tempo non ci basterà per progettare tutta una vita, o anche solo la partenza, e un futuro ancora da rincorrere, o anche solo da immaginare.
Spesso ci domandiamo:

“Perchè non ci danno un lavoro buono, buono?”
“Un lavoro per vivere, per fare tutto da sola”
“Non c’è casa, non c’è lavoro, dove vado io?”
“Io ho messo tutto il mio cuore in Italia, per imparare l’italiano… e adesso?”

Siamo qui, in case con il tetto che perde acqua e le fogne che puzzano; senza privacy per le madri che crescono le proprie figlie in stanze condivise con altre donne. La formazione e gli studi che abbiamo fatto nei nostri paesi di origine non sono riconosciuti e per accedere ai percorsi disponibili in Italia dobbiamo aspettare l’autorizzazione dall’ente locale, promotore e titolare del progetto SAI. Il lavoro, la più importante condizione per essere autonome, vivere degnamente e non essere a carico dei Servizi Sociali, è per noi la cosa principale, ma è difficile da trovare. E non parliamo della casa. Quando usciamo dal progetto siamo a mani vuote. Senza un contratto di lavoro nessuno ci affitterà mai una casa, se non bettole inabitabili.

Caro Sindaco, porgiamo anche a lei qualche semplice domanda e le chiediamo di mettersi nei nostri panni, se ha voglia di farlo:
Come faremo a rinnovare il permesso di soggiorno senza un lavoro? Come faremo ad accedere alla casa popolare se non abbiamo abbastanza anni di residenza? Come facciamo ad affittare una casa che chiede lavoro indeterminato e garanzie di stabilità? Perché non ci assumono se siamo straniere? Perché non ci affittano casa se siamo straniere? E come facciamo a trovare una casa senza un lavoro? Come facciamo a lavorare senza formazione? Come potremo crescere le nostre figlie/i senza farle/i sentire di serie b? Quando potremo vivere finalmente in pace? Nessuna di noi vuole uscire dal progetto sapendo che avrà bisogno ancora di aiuto. Siamo arrivate qua pensando di trovare un grande Paese, accogliente e organizzato, incontriamo invece una burocrazia infinita, fatta di carte su carte, di requisiti che prevedono altri requisiti, che ci rendono sempre e solo delle migranti, non persone e donne.

Caro Sindaco, quello che ha letto è una sintesi dei desideri e dei bisogni delle donne che ospitiamo.
Condividiamo quotidianamente questa realtà. Una realtà fatta di tempi lunghi e risposte molto vaghe e incerte e che non permettono neppure a noi operatrici di far fronte alle ansie e ai dubbi che ci vengono posti.
Ogni giorno cerchiamo soluzioni concrete: case in affitto che garantiscano qualità e riservatezza ai nuclei mamma-bambino/a e che non prevedano sempre la vita comunitaria, contatti e contratti di lavoro, investiamo risorse per garantire a tutti/e i bambini/e esperienze educative e di socialità anche extra scolastiche (campi estivi, doposcuola, corsi sportivi, laboratori, etc.) e alle donne percorsi formativi accessibili.
E ogni giorno ci scontriamo con la lentezza e la rigidità dei processi burocratici e l’impossibilità di intervenire e dare risposte.
Anche noi sentiamo la puzza nelle case, ma i nostri obblighi di manutenzione non prevedono interventi strutturali. Nonostante il nostro impegno nel farli, spesso le autorizzazioni arrivano tardi e noi non riusciamo a spiegare a chi ci abita i motivi reali per cui questo stato di cose non si risolva velocemente. E questo problema non riguarda solo noi, ne siamo consapevoli, ma anche molti nostri vicini di casa.

Per questo ci siamo sentite chiedere:
“Chi è Trama, chi è il Sindaco e chi è la legge?”

Cerchiamo case in affitto sul mercato privato, ma ci scontriamo quotidianamente con un tessuto sociale che nemmeno nasconde il razzismo dietro giustificazioni di comodo e dichiara apertamente di non volere problemi. Ma ringraziamo di cuore quei pochi privati che invece hanno il coraggio di fare scelte diverse.
Anche noi contavamo sulla tradizione di solidarietà e accoglienza del nostro territorio, ma ultimamente riscontriamo una preoccupante deriva razzista.
Questi per noi non sono solo problemi sociali, ma soprattutto questioni politiche. Ogni giorno noi ascoltiamo le storie delle donne richiedenti asilo che sono sopravvissute alla Libia e al Mediterraneo, accogliamo e condividiamo il loro dolore. Sentiamo tutto il peso e la responsabilità di quanto accade. Ogni giorno siamo più arrabbiate per la cecità e l’inadempienza delle istituzioni di fronte ai diritti umani e delle donne ignorati e violati.
Lei fa parte di un partito di governo che si dichiara democratico e progressista, ma che ha confermato il Memorandum Italia-Libia considerato da tutti gli organismi internazionali dei diritti umani inaccettabile e causa di sfruttamento, tortura e violenza agita in particolar modo sulle donne. Un partito che non prende una posizione sullo ius soli e che non mette in discussione un sistema di accoglienza che si dimostra più che inadeguato.

Ci auguriamo che questa occasione di incontro corrisponda ad una apertura di dialogo e ad un ascolto concreto affinché si possano trovare soluzioni positive per costruire una città migliore.
Perchè come ha detto D., una delle donne che ha partecipato alla stesura di questa lettera:
“Trama non è Paula, non è Alessandra, siamo io e te”
Perchè D. è una di noi e insieme ci battiamo per i diritti di tutte le donne, native e migranti!

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2021-07-13T14:13:20+02:00

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