Per forza non per amore, anche l’Italia ha le sue spose bambine

Accade ogni sette secondi. Ogni minuto, secondo “Save The Children”, nel mondo più di otto ragazze con meno di 15 anni vengono date in sposa a uomini spesso più grandi. E l’Italia non è immune, nonostante un monitoraggio del fenomeno ancora non esista. Immigrate di seconda generazione, soprattutto pachistane, indiane e bengalesi, nate e cresciute in Italia. Ragazzine che frequentano le nostre scuole che all’improvviso scompaiono, portate nei Paesi d’origine e promesse in sposa a uomini della propria comunità etnica. Come vuole la tradizione.

Il nuovo piano antiviolenza, che si sta discutendo con le associazioni, prevede il recepimento della convenzione di Istanbul con l’introduzione dei “reati d’onore”, come sono appunto i matrimoni forzati. Nel caso in cui una persona viene attirata con l’inganno in un Paese estero allo scopo di costringerla al matrimonio, anche il solo adescamento viene sanzionato penalmente.

L’ultimo caso di cui si è parlato è quello avvenuto a Torino, dove una 15enne di origine egiziana si è ribellata contro un matrimonio con un uomo più grande di dieci anni. Per opporsi a quella decisione aveva tentato anche il suicidio. Era tutto preparato, ha raccontato la ragazza. Avrebbe lasciato la scuola e poi sarebbe volata in Egitto per il matrimonio. La sua salvezza, come spesso accade, è stata confidarsi con una compagna di classe. Che l’ha convinta a chiamare il numero di emergenza di Telefono azzurro. «Dopo la segnalazione, abbiamo avvertito il commissariato di polizia che ha organizzato un momento di ascolto nell’istituto scolastico», spiega Rosalba Ceravolo di Telefono Azzurro. «E il tribunale per i minorenni ha stabilito poi l’allontanamento della ragazza in una comunità protetta».

In Italia l’unica associazione che si occupa da anni di matrimoni forzati è la bolognese “Trama di terre”, che per prima nel 2008 ha realizzato un monitoraggio in Emilia Romagna. «È venuto fuori», spiega la presidente Tiziana Dal Pra, «che durante l’estate molte ragazze venivano allontanate dall’Italia per essere portate nel Paese d’origine come promesse spose». Lì sposano uomini che spesso appartengono alla cerchia familiare. Possono essere giovani ragazzi, o adulti anche di vent’anni più grandi. «Spesso il progetto è di portare poi questi uomini in Italia». E le madri «sono portate a giustificare o a negare perché prima delle figlie loro stesse hanno subito lo stesso percorso».

Dati sul fenomeno non ne esistono, il sommerso in casi come questi è alto. Ma ci sono comunità etniche in cui i matrimoni forzati sono più frequenti. «Parliamo delle comunità bengalesi, indiane, pachistane, turche e albanesi, dove i matrimoni combinati sono la consuetudine. Mentre nella comunità marocchina sono in diminuzione», dice Dal Pra. Di recente, il Tribunale per i minorenni diBrescia, ad esempio, ha denunciato la presenza di diversi casi nella bassa bresciana, dove è più alta la concentrazione di comunità indiane, pakistane e bengalesi.

La forzatura, come emerge dalle interviste che“ Trame di Terre” ha realizzato nel suo report, non sempre è fatta tramite la violenza fisica, ma più di frequente con il ricatto emotivo. E le ragazze in molti casi non sanno a cosa vanno incontro, anche perché non conoscono la persona che andranno a sposare.

“Trama di terre” riceve ogni mese numerose segnalazioni da tutta Italia. L’associazione avverte le procure. E da qui partono le azioni dei servizi sociali, gli allontanamenti e la presa in carico nelle comunità per minori o nei centri antiviolenza. «L’allontanamento dalla famiglia e dalla comunità di controllo è necessario», dice Dal Pra. «Ma non sono ragazze che chiedono di “essere occidentali”, come spesso si dice. Chiedono solo di esistere e di poter scegliere come individui senza dover obbedire alla legge di famiglia». Cosa che, restando nella comunità, non possono fare.

E le denunce sono in crescita. «Sono ragazze che oscillano tra due culture differenti, cresciute in un contesto culturale in cui le relazioni sentimentali sono scelte non dalle famiglie ma dagli individui», dice Rosalba Ceravolo. «In questo contesto, maturano l’idea della bontà della ribellione rispetto al sistema normativo della cultura di appartenenza, spesso grazie a un aiuto esterno. E i diversi episodi di denuncia arrivati alle cronache dimostrano che si sta cominciando a rompere il muro del silenzio». Ma perché i singoli casi vengano fuori c’è bisogno di «formare gli attori sociali a sapere leggere e cogliere i segnali, che possono essere il basso rendimento o l’assenza da scuola», spiega Dal Pra. “Trama di Terre” ha elaborato un vademecum per gli operatori sociali. «Ma oggi è lasciato tutta alla sensibilità o alla buona volontà della rete sociale», dice Dal Pra. «Ma più è forte la risposta coesa di una rete di servizi, più aumentano le denunce. Altrimenti le ragazze che si ribellano dove vanno a finire? Devono sapere che c’è una via d’uscita».

13 Aprile 2017 – Lidia Baratta

Fonte: Linkiesta

2019-03-19T04:07:51+01:00

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