“Non voglio mettere l’accento sul vissuto di violenza perché non desidero che le mie parole suscitino emozioni empatiche per poi essere dimenticate dopo questo 25/11.
Ciò che vorrei venisse portato alla luce nella mia riflessione ha a che fare con quali sono stati per me gli ostacoli e le risorse che mi hanno portato ad uscire da una relazione di violenza con il padre di mio figlio.
Vorrei restituire ad ognuno e ognuna di voi la responsabilità individuale e politica affinché siano la consapevolezza e la volontà di smontare le dinamiche che sono alla base della violenza maschile a guidare le scelte e le azioni che avete il dovere di portare avanti per costruire una comunità che sia realmente democratica, libera e comunitaria per tutti e tutte”
(Marta)
Nel ringraziare l’amministrazione per questo invito al consiglio straordinario per la giornata contro la violenza maschile sulle donne, abbiamo voluto iniziare il nostro intervento con le parole di una delle donne che abbiamo accompagnato nel percorso di uscita dalla violenza perché, insieme a lei e a tutte le altre, ci auguriamo che la riflessione politica su questo tema diventi ordinaria per i singoli e le singole amministratrici e che questa nuova Giunta possa imprimere un cambio di rotta aprendo nuove, proficue e generose collaborazioni, anche con i Centri Antiviolenza.
Non vi nascondiamo che abbiamo ragionato a lungo se partecipare o meno a questo incontro, poiché troppo spesso negli ultimi anni i Centri Antiviolenza e le associazioni femministe che lavorano con le donne, vengono chiamate in causa solo per le date celebrative, mentre durante il resto dell’anno sentiamo di non avere lo stesso riconoscimento. O meglio, sentiamo che la parola delle donne, la nostra vita e le nostre esperienze non sono prese in considerazione come dovrebbero nelle politiche e nelle azioni a contrasto della violenza e del maltrattamento e per la promozione di pari opportunità di genere e di provenienza.
Abbiamo deciso di essere presenti come Associazione e Centro Antiviolenza Femminista della città per la responsabilità che ci sentiamo sulla pelle ogni giorno. Quella responsabilità e passione, che a molti altri soggetti con cui lavoriamo appare arroganza o sfrontatezza, sono il motivo che ci spinge ad essere qui, oggi.
Abbiamo deciso di utilizzare questo momento per riportare le parole e le richieste delle donne che non hanno la possibilità di portare la loro esperienza in pubblico, il loro sentire e i loro desideri perché ancora dentro le maglie del maltrattamento o della macchina burocratica delle istituzioni, che ancora troppo spesso non le crede, sottovalutando le loro parole o peggio, giudicandole per le scelte fatte.
Salve sono una donna della America Latina. Vivo in Italia da 20 anni. Sono stata con un uomo italiano violento, sono stati gli anni più difficili della mia vita per violenza fisica e psicologica. Mi sono allontana da lui per proteggere me e miei figli, sento che come risorse economiche non ne ho, ho chiesto l’aiuto della assistenza sociale. Con i servizi sociali la comunicazione non è facile perché io e i miei figli abbiamo bisogno di umanità ma loro devono seguire protocolli. Per me e i miei figli le cose non sono state facili fin’ora abbiamo cambiato posto 5 volte in 6 mesi. Io come madre non mi resta che rassicurare loro dicendo che tutto andrà meglio. La “protezione” che abbiamo in questo momento é stare rinchiusi in un posto e a me sembra molto ingiusto perché è come se fossi io ad avere fatto qualcosa di male e la persona che ha compiuto violenza su di me anche davanti a miei figli continua a fare la sua vita normale. Io da donna e madre mi aspetto solo di avere un lavoro e un posto dove poter svolgere una vita il più normale possibile. I mie saluti. (Nora)
Le parole lette sono di alcune donne con cui abbiamo lavorato provenienti da diversi comuni della città metropolitana, lo specifico per evitare ambiguità, ma soprattutto per stimolare e condividere riflessioni collettive con l’obiettivo di migliorare la rete su questo territorio e le procedure adeguate a dare risposte ai bisogni reali.
La violenza che noi donne subiamo ogni giorno è sotto gli occhi di tutti e tutte, siamo certe che anche gli amministratori e le amministratrici di questa città sanno benissimo di cosa stiamo parlando, quindi non vogliamo utilizzare questo prezioso tempo per raccontarvi gli abusi che le donne subiscono ogni giorno. Piuttosto siamo qui per condividere la determinazione di quelle donne che denunciano e chiedono aiuto alle istituzioni.
Fidandosi di loro denunciano e lo fanno fidandosi degli operatori di giustizia, chiedendo sostegno e protezione, sfidando di fatto una legge tradizionale, culturale e secolare del sistema sociale in cui viviamo contro noi donne, non detta esplicitamente: la punizione per avere scelto di denunciare o di andare via.
La determinazione a salvarsi e a salvare i propri figli/e si scontra però con una realtà non pronta ad accogliere i loro bisogni e il loro dolore.
Quando cerchiamo una casa per uscire dalla struttura ci rispondono, i proprietari educati, che hanno già affittato, quelli meno educati che non vogliono avere problemi, quelli razzisti che non affittano alle straniere o donne sole con figli.
Quando cerchiamo lavoro ci dicono “non c’è lavoro per gli italiani, figurati per voi”. Quando ci fanno i contratti sono contratti a ribasso o precari quando ci va bene, in nero quando ci va male, non ci fanno contratto e ci pagano ogni tanto quando ci sfruttano.
Quando denunciamo una violenza sessuale ci chiedono ancora “perché eri lì a quell’ora? Sei sicura che non lo hai provocato? Perché sei andata a casa sua?”. Eppure quando denunciamo un furto, nessuno ci chiede cosa ci faceva sulla sedia la mia borsa, o il portafogli in tasca.
Quando denunciamo un maltrattamento ci chiedono “Sei sicura? Non è che poi ritiri la denuncia? Perché ti ha spinto? Perché sei rimasta con lui così tanto tempo?”. Eppure quando denunciamo un furto nessuno ci chiede “Sei sicura di voler denunciare il furto? Perché ti ha rubato la macchina? Perché hai comprato una macchina così bella?”.
Quando chiediamo aiuto ai servizi ci chiedono e ci giudicano se siamo delle brave mamme, cosa abbiamo fatto per incattivire un uomo che si mostra un padre adeguato, ci danno contributi assistenziali che ci umiliano davanti alle richieste dei nostri figli, mentre i padri non danno il mantenimento…ma si sa i figli sono delle madri, utilizzati spesso per punirle, in più.
E la lista sarebbe ancora lunga.
Come dicono le parole che abbiamo letto, le donne sopravvissute alla violenza cercano umanità, ma incontrano protocolli. Rigidi e spesso giudicanti, se chi li applica non legge nei racconti della donna il maltrattamento e la violenza.
Chiediamo all’amministrazione di riflettere su quale priorità hanno le politiche di genere in questa città.
Quali azioni vuole portare avanti in città per favorire realmente politiche di genere e di provenienza affinché le donne che stanno male, possano vivere bene su questo territorio, libere dalla violenza e con la possibilità di scegliere.
Ieri ai giornali abbiamo fornito i dati delle nostre attività e abbiamo sottolineato come il dato sia scoraggiante per il lavoro di rete sul territorio. Abbiamo osservato una rete di protezione e sostegno costituita tra Centri Antiviolenza, servizi territoriali e operatori della giustizia ferma alla gestione operativa dell’esistente, dove spesso il Centro Antiviolenza è coinvolto solo in situazioni già emergenziali, e nelle quali a soffrire sono le donne che devono affrontare un percorso già di per sé doloroso. Già, più volte come Come Centro Antiviolenza spesso veniamo percepite come intruse nei percorsi delle donne che ci chiedono aiuto, non veniamo coinvolte nelle valutazioni e nella progettazione dei percorsi ad ostacoli di uscita dalla violenza.
La letteratura ci dice che quando una donna traumatizzata viene creduta tende a raccontarsi di più ed ad esprimere le sue scelte. I percorsi delle donne che sosteniamo, non tutti, alcuni, dimostrano questo, ma spesso gli/le operatrici dei servizi pubblici non lo riconoscono e tendono a leggere nelle scelte delle donne che accompagniamo una nostra influenza “ideologica”. Bene, le donne quando possono scelgono, anche andando contro le istituzioni. Questo è il gesto più rivoluzionario che una donna può compiere e che rende possibile il cambiamento per sovvertire l’ordine gerarchico dei generi in tutti gli ambiti, radice della violenza maschile e della discriminazione contro di noi.
Siamo preoccupate perché crediamo che un territorio come questo, con la storia di politiche sociali e di uguaglianza, ricca di competenze e risorse personali, che lo ha contraddistinto, perda invece la possibilità di sperimentare e costruire una progettualità e una programmazione nuova adeguata ai bisogni, alle richieste e al contesto in cui viviamo. Contesto dove le donne sono sì sempre più protagoniste, ma anche le più colpite a causa delle evidenti discriminazioni che ci portiamo sulla pelle.
Chiediamo che questa amministrazione, dopo averci messo la faccia, come nella campagna da voi istituita, ci metta politiche e responsabilità. A partire dal costituire un rete realmente a sostegno delle donne, e non formale, dove ogni soggetto interagisca con l’altro con l’obiettivo di sostenere l’autonomia delle donne per garantire il suo benessere psicofisico a partire da loro, dalle loro storie e dai loro bisogni. Che si lavori sulla prevenzione e su una comunicazione di genere attiva e in sinergia con i Centri Antiviolenza femministi, che svolgono quotidianamente questo lavoro, affinché si possa essere più funzionali e costruttivi al benessere delle donne.
Chiediamo che l’amministrazione prenda posizione e costruisca concretamente politiche e percorsi per agevolare l’autonomia delle donne, predisponendo piani per il recupero di alloggi da destinare a donne sopravvissute alla violenza, agevolando e sostenendo l’inserimento dei minori anche nelle attività extra scolastiche, promuovendo attività di educazione alle differenze nelle scuole affinché si possa estirpare sessismo e razzismo alla radice.
Infine, vogliamo sottolineare che per noi vittime di violenza sono tutte quelle donne sopravvissute ad ogni forma di violenza, dal maltrattamento familiare alla violenza istituzionale: sopravvissute sono quelle donne che hanno dovuto abbandonare tutto per salvarsi, la loro casa, i loro affetti, le loro abitudini, perché le carte dei tribunali, le relazioni, i protocolli non le hanno credute, ma per fortuna loro hanno avuto la forza di credere in sé; sopravvissute sono quelle donne che continuano a vivere a stupri di guerra, a stupri di gruppo, allo sfruttamento di mercanti libici (che l’Italia sta ancora finanziando), alle motovedette libiche nel Mediterraneo che se non le lasciano morire in acqua, le riportano nelle gabbie in Libia. Quelle donne a cui vengono negati i documenti, quelle lasciate bruciare in baracche o sfruttate sulle strade o nei campi.
Perché vogliamo ricordare che la violenza maschile contro le donne è terribilmente democratica, non conosce distinzioni “di classe, di razza o religione”.
Alla mamma del piccolo Joseph dedichiamo questa giornata, perché a lei e a suo figlio è stata negata l’esistenza.