Incontro con i funzionari regionali
CHI SIAMO, NON SAPPIAMO PIU’ DEFINIRCI: EXTRACOMUNITARIE, STRANIERE, IMMIGRATE, MIGRANTI? CI PIACEREBBE ESSERE SEMPLICEMENTE CITTADINE
E’ stato un incontro interessante, ricco di emozioni per tutte noi operatrici, per le donne migranti e pensiamo anche per i funzionari del progetto che rappresentavano la Regione.
Alcune ospiti nelle case d’accoglienza dell’associazione «Trama di Terre» provenienti dalla Nigeria, Somalia, Pakistan, Costa d’avorio, Ucraina hanno espresso il loro disagio a vivere in questa città definita accogliente dai nativi ma descritta invece da loro chiusa, dove il razzismo verso le migranti si avverte. Queste donne si sentono discriminate per provenienza, colore e religione.
Malgrado l’impegno nel rispettare “il patto d’integrazione” – a partire dall’apprendere la lingua italiana e da un percorso formativo mirato al lavoro – il razzismo purtroppo pesa sul loro percorso di autonomia perché pone molti ostacoli sia nell’accesso al lavoro che nella ricerca di una casa. Un altro problema sono i mass media che trattano le donne profughe in modi molto diversi, come se alcune fossero di serie A e altre di serie B. Questo non farà altro che alimentare il razzismo. Oltre alla guerra subita nei Paesi di provenienza molte di queste donne si ritroveranno così dentro uno scontro “fra poveri”sul territorio italiano.
Amaramente si constata che avere un diploma o una laurea non cambia nulla nel percorso di una migrante: non vengono riconosciute le sue competenze proprio come si ignora la sua storia o le ragioni per le quali è fuggita dal suo Paese. Ed è soprattutto per questo che alle migranti e profughe vengono proposti solo lavori precari e pesanti come addette alle pulizie o talvolta badanti (ma tante famiglie vogliono solo donne di pelle bianca).
L’essere considerata “troppo” diversa comporta ricevere discriminazioni anche nei servizi: come donne e come mamme dobbiamo chiedere maggiore formazione e sensibilizzazione per chi lavora con il pubblico in modo da garantire uguaglianza e pari opportunità a tutte. Molte mamme ad esempio vengono poco considerate se chiedono la possibilità di inserire i bambini a scuola in modo da accedere al lavoro prima possibile per mantenersi loro e i loro cari.
Ci vuole ancora molto lavoro perché queste donne vengano accettate e se non ci si impegna c’è il rischio che non accada mai. Però non esiste alternativa: queste donne non possono tornare indietro perché sono fuggite da guerre o povertà, da matrimoni forzati, da mutilazioni genitali, dal rischio di femminicidi.
Un primo passo verso la soluzione è garantire percorsi formativi verso lavori dignitosi che portino all’autonomia economica e abitativa. Si è parlato di formazioni gratuite come operatrici ma invece si sono trasformati in corsi a pagamento (2.700 euro).
Pur di lavorare le migranti accettano di fare tirocini che durano dai 6 ai 9 mesi: dovrebbero essere finalizzati all’assunzione ma quando vengono mandate via – “ci
dispiace, non possiamo assumerti” – anche se c’è un posto si sentono sfruttate nel peggiore dei modi.
Sul lavoro alcune migranti vengono abusate e violentate ma non possono parlare perché senza contratto di lavoro non potranno avere il permesso di soggiorno; i datori di lavoro lo sanno e se ne approfittano.
Se alle donne che vengono da altri Paesi viene richiesta l’integrazione, allora i cittadini devono assicurare apertura e fiducia. Invece di giudicare bisogna avvicinarsi per conoscere: lo si può fare anche attraverso eventi offerti dalla città nelle due direzioni (cioè appuntamenti italiani ma anche “etnici” offerti a tutta la popolazione.
Silvia2022-04-03T12:29:14+02:00